"La vita o si vive o si scrive" (L. Pirandello)
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mercoledì 7 gennaio 2015

Il terremoto di REGGIO e MESSINA (1908)



La sera del 28 dicembre alle ore 22:43, una scossa di terremoto, che ha avuto il suo epicentro in Sila, ha fatto sobbalzare la Calabria. La magnitudo è stata di 4.4 secondo la scala Richter, un terremoto abbastanza forte, sicuramente il più forte che la mia memoria ricordi, poiché quello terribile del 1980 che distrusse l’Irpinia e che fu avvertito in modo chiaro fino in Calabria, io non lo ricordo, ero troppo piccola allora.

Stavolta, grazie a Dio, non è successo niente, nessun ferito, e questo è l’importante. Si rimettono a letto i figli, raccomandando loro che, se dovesse arrivare una nuova scossa, vadano a infilarsi immediatamente sotto la scrivania e poi si spera che di scosse non ce ne siano più.

 In realtà di scosse il sismografo ne ha registrato altre tre, ma, per fortuna, si trattava di scosse di assestamento, impercettibili alla popolazione.

Quando (troppo spesso) la mia regione sobbalza, mi torna alla mente il disastroso terremoto che nel 1908 distrusse Reggio e Messina. Sarà stata una semplice combinazione ma la data degli eventi è la stessa: 28 dicembre 2014 il più recente, 28 dicembre 1908 quello passato alla storia come il più terribile disastro naturale della storia d’Italia. Con questa storia voglio iniziare l’altra sezione di questo blog, quella dedicata agli eventi storici accaduti in Calabria.

«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata un’impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri". Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave. »

 Questo venne annotato nell’osservatorio Ximeniano di Firenze. A quel tempo esistevano già i sismografi ma erano apparecchiature ancora rudimentali rispetto a oggi, segnalavano la presenza di un evento sismico ma non erano ancora in grado di stabilire con precisione il luogo dove l’evento si era verificato. La notte di quel 28 dicembre di 106 anni fa, si sapeva solo che un grande terremoto si era verificato, probabilmente, da qualche parte in Italia.

Questo terremoto, nel tempo, prese diversi nomi: Terremoto di Messina, Terremoto di Messina e Reggio e terremoto calabro-siculo ma in Calabria è conosciuto come il “Terremoto di Reggio e Messina” ed è così che lo definiremo in questo post.

Era da poco passato il Natale quando, quella mattina di lunedì 28 dicembre alle ore 5:21 un terribile terremoto che ebbe come epicentro lo stretto di Messina, sconquassò con la violenza della sua magnitudo 7.2 scala Richter (XI scala Mercalli) le città di Reggio e Messina distruggendole quasi completamente.

In 37 lunghi secondi di terrore scomparve buona parte della popolazione delle due città. Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000, mentre a Reggio i morti furono circa 15.000 su una popolazione di 45.000. Una terribile tragedia che vide scomparire in pochi secondi interi nuclei familiari.

Già in passato la Calabria e lo Stretto di Messina erano state più volte colpite da grandi terremoti che avevano raso al suolo i centri abitati, ma quello del 1908 fu forse il più violento sia per i danni causati (il 90% delle abitazioni di Messina crollarono) sia per l’elevato numero di morti (circa 95.000, un numero davvero drammatico e impressionante). Quella notte, poi, avvenne una tragedia nella tragedia, poiché furono molti quelli che, scampati al terremoto, impauriti, feriti e al buio, si riversarono in massa sulle spiagge cercando una via di scampo e non potendo immaginare che quell’idea li avrebbe condotti alla morte. Dopo circa dieci minuti dal terremoto, infatti, le acque dello Stretto si ritirarono e un violento maremoto, oggi più noto come  Tsunami, si abbatté sulle coste calabro-sicule, con almeno tre grandi ondate di oltre 10 metri (13 mt a Pellaro) che travolsero con sé tutto ciò che trovarono, compresi i terremotati che si erano riversati sulle spiagge.

All’alba i danni della furia della natura si rivelarono nella loro drammatica tragicità. Tutte le vie di comunicazione, strade, ferrovie, telegrafo, erano interrotte, tubazioni del gas e cavi elettrici distrutte, illuminazione stradale mancante fino a Palmi. L’area dello Stretto era, quindi, completamente isolata dal resto del mondo. E così restò per almeno 24 ore.

I superstiti di entrambe le regioni, infatti, vennero soccorsi solo il giorno dopo, martedì 29 dicembre, quando si cominciò a realizzare quale disastro fosse accaduto in quella zona. I primi a raggiungere le coste disastrate dal terremoto furono i russi e gli inglesi provenienti da alcune navi militari che si trovavano in zona.  Tra i soccorritori si distinsero in particolare proprio i russi, ai quali la città di Messina, nel 2006, ha dedicato una strada cittadina in segno di riconoscimento.

Le prime navi italiane arrivarono solo dopo che il Governo apprese la drammatica notizia, nella tarda mattinata del 29.

Da terra, invece, la prima squadra di soccorso che raggiunse Reggio fu di volontari partiti da Cosenza, guidati dall’esponente socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo, futuro Ministro della Sanità e dei Lavori pubblici).  Ricordiamo, inoltre, tra i primi soccorritori: il generale Mazzitelli con un centinaio di soldati, i dottori Annetta e Bellizzi provenienti da Lazzaro, l’avvocato Berardelli di Cosenza e 150 uomini che provenivano da Cirò. I volontari che avevano portato con sé un po’ di cibo, furono assaliti dalla folla di superstiti affamati, che strappò letteralmente loro il pane dalle mani. Anche i volontari, quindi, digiunarono fino a che non arrivarono gli aiuti inviati dal Governo.

La descrizione che Mancini fa di Reggio può rendere l’idea di come apparve la città agli occhi dei primi soccorritori.

 "Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu." 

 Mentre la città di Messina fu quasi completamente rasa al suolo con la scomparsa di più della metà della sua popolazione, Reggio subì meno danni ma non meno dolore. Tra le numerose vittime ricordiamo le 600 del 22° fanteria nella caserma Mezzacapo e quelle dell’ospedale civile, dove si salvarono solo 29 pazienti su un totale di 230 ricoverati. Solo queste cifre ci danno l’idea di ciò che fu. Danni si registrarono anche nella provincia reggina, dove a Palmi crollò la chiesa di san Rocco e il Duomo.  Il sisma raggiunse anche Tiriolo, nel catanzarese, dove molti edifici crollarono e si registrarono alcuni morti.

Tra le tantissime vittime della costa siciliana voglio ricordare l’immensa tragedia che colpì Gaetano Salvemini, allora docente presso l’università di MESSINA, che perse tutta la famiglia (moglie e figli) sotto le macerie, restando l’unico sopravvissuto.

Le scosse di assestamento furono numerosissime e si ripeterono fino al marzo 1909


In occasione di questo terribile terremoto, in Italia si verificò, per la prima volta, assistenza ai terremotati sia da parte dello Stato che per l’opera di numerosi soccorritori italiani e stranieri, civili e militari (tra questi: marinai, carabinieri e bersaglieri che provvidero anche ad operazioni di pubblica sicurezza contro gli atti di sciacallaggio). Le navi da guerra si trasformarono ben presto in ospedali galleggianti. Il re e la regina d’Italia, insieme al ministro per i lavori pubblici raggiunsero Messina il 30. La regina si occupò dei feriti che venivano trasportati sulle navi, mentre il re, dopo un vivace battibecco col sindaco di Messina, che accusò il Governo di essere intervenuto con ritardo, destituì il sindaco e proclamò lo Stato d’Assedio per le zone terremotate.

Oltre al sindaco, a scagliarsi contro il Governo Italiano, fu, nei giorni seguenti, soprattutto la stampa. In principio, quando ancora non si conosceva la gravità dell’evento, i giornali parlarono di alcuni morti per un terremoto in Calabria, poi col sopraggiungere di nuove notizie, la gravità della situazione si cominciò a delineare.

"ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d'Italia distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e Messina". Titolò il Corriere della Sera del 30 dicembre.

Le polemiche post-terremoto, si fondavano soprattutto sul ritardo con cui il Governo aveva inviato gli aiuti alla popolazione terremotata. In seguito la polemica montò per via dei provvedimenti finanziari adottati e in particolare per l’aumento delle tasse. I giornali accusarono il Governo di aver speso molto denaro proveniente dai fondi raccolti in occasione dei terremoti precedenti senza che le popolazioni terremotate ne traessero i dovuti benefici. Anche la Marina italiana venne pesantemente criticata, perché giudicata impreparata ad affrontare tali eventi rispetto alla capacità dimostrata dalle squadre navali straniere.

C’è da dire però che in occasione di tale terremoto, iniziò anche una straordinaria gara di solidarietà che vide Capi di Stato di varie Nazioni inviare soccorritori e, in alcuni casi, anche aiuti finanziari. In Italia la Croce Rossa e l’Ordine dei cavalieri di Malta organizzarono i soccorsi e si formarono, un po’ in tutta la Penisola, dei comitati per la raccolta di denaro, cibo e vestiario.

La stima ufficiale parla di circa 17.000 persone ritrovate vive sotto le macerie e salvate dai soccorritori italiani e stranieri. Mentre l’Esercito e la Marina, persero circa 1.000 uomini, alcuni dei quali durante le operazioni di soccorso.

Cominciò quindi il lento processo per la ricostruzione. Reggio Calabria fu ricostruita nel primo ventennio del XX secolo. Nel 1911 l'ingegnere reggino Pietro De Nava, assessore ai lavori pubblici, progettò il nuovo piano regolatore (detto "piano De Nava") che prevedeva costruzioni antisismiche e in stile liberty. Reggio risorse dalle macerie, diventando nel corso del secolo la città più popolosa della Calabria, grazie anche ad una forte emigrazione interna, con i residenti della provincia che si riversarono in città. E' oggi una delle città metropolitane d'Italia.
 
Per Messina, invece, si era pensato di demolire completamente il poco che era rimasto ancora in piedi e di ricostruire la città altrove, ma, com’era prevedibile, la popolazione si ribellò a quest’idea. La città venne ricostruita lì dove sorgeva ma, stavolta con nuovi criteri più moderni e, soprattutto, con metodologie antisismiche.
Subito dopo il sisma sorsero le prime tendopoli che furono poi sostituite dalle baraccopoli che, come accade in questi casi, dovrebbero essere sistemazioni momentanee ma che restarono, invece, in gran parte abitate per decenni prima che la ricostruzione fosse completata. La cosa incredibile è che alcune di quelle baracche ci sono ancora e sono ancora occupate. Secondo alcuni, gli occupanti sono gli eredi dei sopravvissuti che continuano ad aspettare, dopo 106 anni, una casa vera e propria. Secondo altri, gli occupanti odierni sono degli abusivi che hanno occupato le baracche quando i terremotati le hanno lasciate. Io non so quale sia la realtà delle cose, l'unica cosa certa è che una baraccopoli non è il luogo adatto all'esistenza di un essere umano.

 

Reggio Calabria dopo il terremoto


Messina distrutta dopo il terremoto


Alcuni superstiti a Reggio Calabria, sullo sfondo le rovine della città.
 

I danni subiti in città.


Palmi (RC) distrutta dopo il terremoto



La baraccopoli di Reggio

Le foto sono state prelevate dal web e sono di pubblico dominio.

sabato 1 novembre 2014

CARMELA BORELLI

La "Madre eroica"
La storia che vi racconto questo mese accadde a Sersale, in provincia di Catanzaro, durante il ventennio fascista. E' la storia di Carmela, una donna, una sposa, una madre. Una storia del tutto simile alle due precedenti, perché simile è l'esistenza delle persone semplici. A spegnere improvvisamente la vita di questa donna non ci fu, però, una mano assassina com'era accaduto per Giuditta e Teresa, qui la tragicità avvenne ad opera della natura o, se vogliamo, del destino infausto.
 
Carmela era una contadina della Calabria del primo novecento, sposata a un pastore. Un'esistenza semplice la sua, fatta di piccole gioie, come l'arrivo dei figli, ma anche di tanta fatica e di sacrifici che nelle famiglie contadine non risparmiavano neanche i bambini, abituati, fin dalla tenera età, ad aiutare i genitori nel lavoro domestico e nei campi. La sua storia rispecchiava quella di tante donne del suo tempo fino a quando, nel 1929, accadde il tragico imprevisto che la rese famosa in tutta Italia.
Carmela lavorava in una località chiamata "Mirtilliettu", sulla costa ionica catanzarese, dove soleva rimanere per buona parte dell’anno per procurare il grano necessario per il pane. Suo marito spesso era lontano, per seguire gli animali al pascolo e la donna restava sola con i figli. Il 21 febbraio del 1929, era una bella giornata, il cielo sembrava quasi voler preannunciare l’arrivo di una precoce primavera e Carmela decise di rientrare al paese, a Sersale, insieme ai due figli più piccoli: Costanza di nove anni e Francesco di cinque.
La donna si mise in viaggio con i bambini e due asini carichi di grano, ella portava con sé anche un pezzo di stoffa che aveva conservato gelosamente per farsi fare una nuova gonna dal sarto del paese. Mentre percorreva la mulattiera che dalla marina saliva verso Sersale, situato nella presila catanzarese, il tempo, improvvisamente, cominciò a mutare. Il cielo si chiuse diventando pallido e un vento freddo cominciò a soffiare dalle montagne, trasportando con sé qualche fiocco di neve. Sorpresa da quel repentino abbassamento della temperatura, Carmela affrettò il passo ma il vento cominciò a diventare più impetuoso e la neve prese a cadere copiosa, finché una vera e propria bufera si abbatté sulla zona imbiancando, in pochi minuti, tutto il paesaggio circostante. Sopraffatti dall’abbondante nevicata, Carmela e i suoi figli cercarono di raggiungere in fretta il paese ma i bambini cominciarono a soffrire il freddo e rallentarono il passo, la madre li esortava a continuare mentre spronava i due asini col loro prezioso carico. I bambini piangevano per il freddo e Carmela, allora, prese in braccio il piccolo Francesco e proseguì il cammino sulla neve che era già alta, esortando la figlia più grande a seguirla senza fermarsi.
Anche gli animali, con i loro carichi, faticavano nel proseguire il cammino e, dopo poco, uno dei due asini cadde a terra morto dal freddo, vicino a un luogo chiamato nel gergo locale: "i tri cavunielli".
Stava percorrendo quella stessa mulattiera un agricoltore del luogo, di nome Felice Torchia, anche lui sorpreso dalla tormenta di neve mentre risaliva in paese. Incrociando la donna la esortò ad abbandonare l’asino e a proseguire il cammino più in fretta con i figli ma Carmela non volle dargli ascolto e, convinta di potercela fare, con Francesco in braccio e Costanza al suo fianco, continuò a spronare l’asino che le era rimasto e che era prezioso per eseguire i faticosi lavori di campagna.
La speranza di riuscire a raggiungere il paese si era rafforzata, perché in lontananza si scorgevano le prime case del centro abitato.
Ma, poco dopo, anche l’altro asino cadde a terra morto. Francesco e Costanza erano piccoli e cominciarono anche loro a mostrare i primi segni di congelamento, la madre  se ne avvide e, disperata, si tolse i miseri vestiti che portava addosso e vi coprì i figli, cercando in questo modo di scaldarli. Con la leggera sottoveste che le era rimasta addosso, la sfortunata donna continuò a camminare a stento nella neve, con Francesco in braccio e tenendo Costanza per mano, mentre il vento gelido e impetuoso soffiava su di loro imbiancandoli di neve e gelandogli il sangue nelle vene. Il paese era lì, a poche centinaia di metri, quando Carmela cadde a terra nella neve, cercò di rialzarsi ma non ce la fece, cercò di chiamare aiuto ma la voce non le uscì dalla bocca, allora, resasi conto di quanto le stava accadendo, abbracciò forte a sé i figli, cercando di ripararli col suo corpo dal grande freddo.
Nel frattempo, Felice Torchia era arrivato in paese chiedendo l'aiuto dei compaesani per soccorrere la povera Carmela e i suoi figli in balìa della tormenta lungo la mulattiera. Dalle case uscirono i primi soccorritori che si diressero verso il punto indicato loro dal Torchia. La bufera, intanto, aveva iniziato ad attenuarsi e gli uomini riuscirono a localizzare la povera donna nella bianca distesa. Carmela e i bambini furono trasportati in una delle prime case e messi vicino al focolare, mentre qualcun altro corse a chiamare il dottore ma, quando questi giunse sul posto, Carmela era già spirata per assideramento.
Francesco e Costanza si salvarono grazie al sacrificio della loro mamma, che non aveva esitato a denudarsi per ricoprirli con le sue vesti e  li aveva riscaldati col calore del suo corpo, stringendoli a sé in un ultimo abbraccio d’amore. 
La tragedia di Carmela Borelli e il suo atto d’amore verso i figli rimbalzò, nei giorni seguenti, sui giornali italiani e sia la "Tribuna Illustrata" che il "Mattino Illustrato" le dedicarono la copertina del 1° marzo 1929, facendo conoscere a tutti la storia di questa, fino allora, sconosciuta donna calabrese, che divenne la “Madre Eroica” d’Italia. 
Le piccole italiane di Milano offrirono al comune di Sersale un monumento in marmo bianco che rappresenta una colonna spezzata, simbolo della vita della giovane mamma spezzata troppo precocemente.  Il monumento è ancor oggi presente nella piazza dedicata proprio a Carmela Borelli. Il suo paese, inoltre, la ricorda con l'intitolazione di una strada e della scuola elementare.

Credo che non esistano foto di Carmela Borelli, quindi, vi lascio alle raffigurazioni che di lei fecero le prime pagine dei giornali dell'epoca: "Il mattino illustrato" e la "Tribuna illustrata".






Sersale, 21 febbraio 1959
Gli scouts rendono omaggio al monumento di Carmela Borelli, in occasione del 30° anniversario della morte.
 
Anche la città di Cosenza le ha intitolato una scuola elementare, mentre lo scrittore calabrese Michele Scarpino, le ha dedicato il libro "Una mamma eroica. Carmela Borelli" edito da Frama Sud nel 1979.
A Sersale, recentemente, è sorta anche l'Associazione Pro Fondazione Carmela Borelli  con scopi di solidarietà e utilità sociale. Anche la proloco di Sersale l'ha voluta ricordare, istituendo il premio “Carmela Borelli” che ogni anno premia la donna calabrese che si è distinta per qualche gesto importante.