"La vita o si vive o si scrive" (L. Pirandello)

sabato 15 agosto 2015

L'alluvione di Rossano e Corigliano.

Stavo scrivendo un nuovo post per questo blog quando l'alluvione che ha devastato due paesi della provincia di Cosenza mi ha fatto scegliere di dare la priorità a questo evento calamitoso.

Estate 2015, sia i giornali che la televisione parlano del forte incremento dei turisti che scelgono il sud Italia come meta delle loro vacanze. Nella loro scelta ha inciso probabilmente anche la crisi economica, che fa sì che gli italiani preferiscano restare in Patria anziché raggiungere mete più esotiche e più costose. Gli italiani, finalmente, riscoprono di avere un SUD.
 Un sud che è anche un paradiso di spiagge bianche e mare cristallino, decisamente niente da invidiare a mete più famose e lontane.
 Anche in Calabria si registra una buona crescita nella presenza di turisti, soprattutto russi, che arrivano addirittura a comprare la casa al mare a Scalea, mentre l'acqua-park di Rossano (il più grande dell'Italia meridionale) registra il pienone di stranieri, soprattutto americani.
Non solo gli italiani ma ora anche gli stranieri scoprono il SUD.

E' un successo, il primo dopo anni di silenzio, di crisi, di mancanza di lavoro. Gli albergatori sono soddisfatti, s'intravede uno spiraglio di luce dopo anni di buio, si sente nell'aria il profumo della speranza, il peggio ormai è passato, il presente è roseo e il futuro lo sarà ancor di più.
La ripresa c'è, si vede, si sente.
Ma si sa che le cose belle sono destinate a durare poco, specie qui al sud.
Ed ecco che a rovinare tutto questo idillio ci pensa una bufera di pioggia e vento che si abbatte con violenza sul nord est della provincia di Cosenza, causando l'esondazione del fiume Citrea.
Alle 7:30 del 12 agosto la zona costiera tra Corigliano e Rossano Calabro è completamente invasa da un fiume di fango e acqua. A Corigliano cadono ben 166 mm di pioggia.
Dai centri storici che sono posizionati in alto sulle vette dei monti (perché gli uomini di una volta sapevano bene dove costruire le loro case) l'acqua si riversa giù fino a raggiungere e inondare la città nuova che si trova in riva al mare e che è piena  zeppa di residenti e di turisti.

Grazie a Dio, non ci sono state vittime né feriti e questa è già una grande fortuna. Ma i danni sono tanti, centinaia di automobili trascinate via dall'acqua e danni ai negozi, alle abitazioni private, alle strade, di queste ultime una è crollata nel centro storico di Rossano.
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 I danni maggiori si registrano però a Rossano scalo, dove il bellissimo lungomare è completamente devastato e irriconoscibile e la parte bassa della cittadina è invasa dall'acqua.
La popolazione spaventata è rimasta per ore senz'acqua corrente e senza elettricità, i turisti bloccati negli alberghi. Scatta la polemica contro il sindaco, alcuni cittadini dicono di non essere stati avvisati di ciò che sarebbe accaduto.
In realtà l'allarme era stato lanciato con un'allerta meteo che prevedeva un forte nubifragio sulla Calabria con pericolo per la vita delle persone. Il nubifragio c'è stato ma, grazie a Dio, a parte i danni materiali alle cose, nessuno dovrà piangere morti perché la macchina dei soccorsi si è messa in moto velocemente. Il salvataggio più importante è stato l'aver portato in salvo tutti i turisti presenti in un camping locale. La stima totale dei danni non è stata ancora fatta ma si contano circa cinquecento sfollati.
Nei giorni seguenti, nonostante la rabbia di alcuni cittadini che si sentono abbandonati dall'amministrazione locale, nonostante le polemiche sulle concessioni di permessi edilizi in zone vietate, nonostante la poca pulizia di fiumi, pozzetti e fognature (problema che affligge tutta l'Italia), nonostante tutto, la popolazione si è da subito messa all'opera per liberare le strade e le case dal fango. Ad aiutare i residenti sono arrivati i vigili del fuoco e tutte le forze dell'ordine, l'esercito, i tecnici comunali e la protezione civile, senza contare i volontari giunti da tutta la regione (anche nel giorno di Ferragosto), gli immigrati presenti in zona e perfino alcuni turisti che hanno voluto dare anch'essi una mano per ripulire le due belle cittadine turistiche.
E' nelle difficoltà che si riconoscono le brave persone e a chi accusa il sud di essere una terra dal piagnisteo facile, lascio queste immagini prelevate dal web (fonte: Facebook) che sono più eloquenti di qualsiasi altra parola.



Il momento in cui il fiume di fango ha invaso la cittadina di Rossano scalo.

Una vettura trascinata fino al mare.


Turisti bloccati negli alberghi
Il lungomare 'Lido Sant'Angelo' di Rossano prima e dopo l'alluvione.

La pulizia delle case invase da fango e detriti.

Tra i volontari anche gli immigrati.

I soccorritori liberano le strade dall'acqua e dal fango.

La pulizia delle spiagge per poter riavviare in fretta la stagione turistica.

L'immagine più bella: i ragazzi del luogo portano in salvo due donne anziane.


lunedì 1 giugno 2015

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sabato 25 aprile 2015

70 anni di LIBERTA'



In questa giornata storica, non posso non ricordare la nostra TERESA GULLACE, la donna calabrese che divenne uno dei simboli della Resistenza Romana. Invito, chi non l'avesse ancora fatto, a leggere la sua storia cliccando sul link.

venerdì 13 marzo 2015

La fiera di San Giuseppe a Cosenza.

Nel mese di marzo Cosenza si tinge di mille colori e d'intensi profumi, a segnare l'inizio della primavera sono i fiori e le piante presenti nella "fiera di san Giuseppe", tradizione cittadina che perdura da ben oltre sette secoli, fu istituita, infatti, nel 1234 dall'imperatore Federico II di Svevia.
 
In questa occasione si fondono insieme religione, tradizioni e vecchie credenze popolari.
Come quella antichissima che vedeva nell'arrivo della bella stagione, il ritorno della luce e di un periodo di buon auspicio dopo mesi di buio e cattivi presagi.
 
Il 19 marzo la chiesa cattolica celebra la ricorrenza dedicata a san Giuseppe sposo di Maria e in città ben due parrocchie festeggiano il santo, sono l'antica Chiesa di san Giuseppe nel centro storico e la parrocchia di San Giuseppe lavoratore situata nella zona nuova della città, nel quartiere Serra spiga.

A Cosenza, si è sempre avvertito molto l'attaccamento a tale evento. Ogni anno migliaia di persone, provenienti non solo dalla città ma anche dal suo hinterland e dall'intera provincia, visitano gli stand allestiti dai mercanti, per quest'appuntamento annuale al quale nessun cosentino può rinunciare.

Tra le bancarelle si trova tutto ciò che si può cercare visitando un grande mercato, qui però agli articoli moderni si affiancano quelli più antichi.

I simboli più tradizionali della fiera sono i 'mustazzoli' (mostaccioli), tipici e antichi dolci del cosentino ricoperti di miele di fichi (la melassa di fichi), ma vi sono anche le più moderne 'zeppole' dette anche 'frittelle di san Giuseppe', altro dolce tipico del periodo.
Ci sono poi gli stand dedicati alle piante da appartamento o da giardino e quelli dedicati all'artigianato. I primi, sono stati sempre i più gettonati tra le signore della città, che aspettano la fiera e l'arrivo della primavera per rinnovare la fioritura di  balconi e terrazzi. I secondi, sono un simbolo tradizionale della fiera, con i loro vasi di terracotta, prodotti artigianalmente dai 'pignatari' ovvero i vasai che lavorano l'argilla, e i vimini, per cui troveremo i tradizionali "cannizzi", ovvero i cesti per raccogliere la frutta, accanto ai più moderni set da giardino composti da tavoli e sedie.
Per gli stand gastronomici, troviamo le delizie calabresi tradizionali, come i salumi, i formaggi e i lupini, accanto alle più moderne leccornie di zucchero e cioccolato tipiche delle fiere.

In occasione della fiera, Cosenza ha sempre ospitato i mercanti forestieri, da ieri ad oggi la tradizione non è cambiata di molto, accanto agli ambulanti nostrani ci sono infatti quelli stranieri, provenienti soprattutto dai paesi africani, ma con una presenza sempre maggiore di altri gruppi provenienti dall'Asia e dal sud America. Da qualche anno si registra, poi, la presenza di un gruppo d'indiani d'America che allietano il percorso dei visitatori con le loro musiche tradizionali. Da qualche tempo, inoltre, è stato dato ancora più risalto all'evento, con serate di musica e la presenza delle attrazioni del luna-park che coinvolgono soprattutto le fasce più giovani della popolazione.
                         

Una veduta della fiera di san Giuseppe lungo il viale G. Mancini, nella parte nuova della città.
L'immagine è stata prelevata dal web.

lunedì 9 febbraio 2015

La Farsa di Carnevale

E' risaputo da tutti che il Carnevale è la festa più divertente dell'anno. Anche in Calabria questa festa è molto sentita, un tempo molto più di oggi.
Ci sono diversi comuni che organizzano bellissime feste, tra tutti, sicuramente quello più famoso e conosciuto a livello internazionale è il Carnevale di Castrovillari, in provincia di Cosenza.
La fondazione ufficiale di questa festa è datata 1959, anche se le sue origini risalgono al '600.
I festeggiamenti iniziano mescolando le tradizioni antiche a quelle più moderne.
Traendo origine dalle antiche farse calabresi, infatti, si avrà lo "scontro" tra Carnevale e Quaresima, alla fine della disputa Carnevale verrà incoronato re e otterrà le chiavi della città.
Segue poi la parte "moderna" della festa, con il "festival Internazionale del Folklore" a cui partecipano gruppi folkloristici provenienti da paesi d'Europa e dal resto del mondo.
Nel corso del festival, il gruppo che ha rappresentato meglio le tradizioni del proprio Paese sarà il vincitore del "Premio Cultura".
Non può mancare la sfilata dei carri allegorici e dei gruppi coreografici in maschera. Il carro e il gruppo che ha realizzato la coreografia più bella vengono premiati.
 
Un altro Carnevale calabrese che voglio segnalare è quello di Catanzaro lido (CZ), qui i festeggiamenti sono davvero particolari perché si svolgono sul lungomare, sono presenti i carri allegorici e gruppi di persone mascherate. E' tradizione, a Catanzaro, vedere sfilare uomini mascherati da donne e, viceversa, donne travestite da uomo. E la cosa è veramente divertente perché entrambi scimmiottano i difetti del sesso opposto. La festa prosegue in piazza, dove viene allestito il palco sul quale gruppi di artisti si esibiscono. Ovviamente anche qui le maschere più belle vengono premiate.
 
Adesso però vi voglio parlare del Carnevale antico, quello del bel tempo passato, quello delle farse carnevalesche.
Le "farse" sono delle recite in vernacolo a cui v'invito a partecipare. Per chi non è calabrese sarà un po' difficile capire le parole dialettali della tragi-commedia paesana per eccellenza ma non bisogna spaventarsi e rinunciare a priori, perché anche per noi calabresi, a volte, è un po' difficile riuscire a capirsi.  Non esiste, infatti, il dialetto calabrese perché la mia terra è ricca di svariati dialetti , per cui basta spostarsi di soli pochi chilometri dalla propria zona di residenza, per sentir parlare un'altra lingua con un accento diverso. 
 
Come il dialetto, anche la farsa subisce delle varianti da paese a paese ma, fondamentalmente, la base della storia è simile per tutte le versioni.
Carnalivaru (Carnevale) è il protagonista indiscusso della vicenda. E' un sempliciotto a cui piace solo bere e mangiare, soprattutto, sazizze e suppressate (salsicce e soppressate). Viene rappresentato con un'enorme pancia e naso e gote rosse per via dell'ebbrezza. La sua antagonista è Quaraisima (Quaresima) che è una donna vecchia, brutta e magra. In alcune versioni Quaresima è la moglie di Carnevale, in altre è una compaesana. La donna per tutto il tempo non fa altro che rimproverare Carnevale, invitandolo a darsi un contegno perché, continuando a darsi alla pazza gioia, potrebbe fare una brutta fine. Ma Carnevale non le da ascolto e continua a mangiare fino a quando non inizia a sentirsi male. Intervengono nella farsa altri personaggi, come il medico che soccorre Carnevale e il notaio che stila il testamento del moribondo. Il tutto condito da una miriade di battute dialettali che si riferiscono a modi di dire o a personaggi del paese stesso.
Alla fine Carnevale muore e, solitamente, a questo punto viene bruciato un fantoccio che lo rappresenta, a simboleggiare la fine della baldoria e l'inizio del periodo quaresimale che precede la Pasqua.
 
Nei paesi calabresi, inoltre, un tempo era usanza, per i soli uomini, mascherarsi e andare in giro per il paese, cantando canzoni in vernacolo e bussando ad ogni porta, invitando i padroni di casa a consegnare succulenti prelibatezze, specialmente salumi e, all'occorrenza, un buon bicchiere di vino rosso.
Oggi in alcuni paesi questa tradizione continua, solo che adesso sono solo i bambini a travestirsi con i loro costumi moderni e a chiedere caramelle o cioccolatini ai compaesani.
 
 
 
 
La "farsa" carnevalesca a Sersale (CZ)
V'invito, inoltre, a visitare questo blog:
da cui ho prelevato la foto che vedete qui sopra. Gli autori del blog sono i bambini della scuola elementare "CARMELA BORELLI" di Sersale che vi parleranno della loro bella festa di Carnevale!

martedì 3 febbraio 2015

Arcangela Filippelli

UN CANDIDO FIORE NEL GIARDINO DELLA CHIESA.

Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro disse che "il calabrese o è pessimo o è ottimo, non conosce mezze misure". Oggi vi racconterò la storia di due calabresi, uno che visse la sua vita in maniera pessima e l'altra che la visse brevemente ma in ottimo modo. Facendo riferimento ai soli calabresi "buoni", si dice, inoltre, che la Calabria sia una terra di santi e forse è anche vero visto che il paese di Longobardi, in provincia di Cosenza, tra santi, beati e servi di Dio, ha la fortuna di averne generati addirittura quattro! Vi ho già raccontato la storia di San Nicola da Longobardi , per l'appunto, e oggi vi racconterò la storia di una ragazzina di soli sedici anni che si chiamava  Arcangela Filippelli.

Immagine prelevata dal sito www.santiebeati.it
 
 
 
Arcangela nacque a Longobardi in contrada “Timpa”, il 16 marzo del 1853, anche se, come accadeva spesso in passato, venne registrata in Comune il giorno successivo. Suo padre era Vincenzo Filippelli e faceva il bracciante mentre la sua mamma era Domenica Pellegrini, filatrice. I coniugi Filippelli erano persone oneste e religiose e insegnarono alla loro figlia la devozione per la religione. Arcangela fin da bambina frequentava assiduamente la Chiesa del paese. I compaesani la ricordavano per la sua bellezza, i capelli biondi e il suo sorriso gentile.
Era lei la ragazza più bella del paese e di ciò si accorse un suo compaesano, un certo Antonio Provenzano che in paese non godeva di una buona fama.
 
Il 7 febbraio 1869 era la domenica di Carnevale e in casa Filippelli mancava la legna da ardere. La madre di Arcangela mandò la figlia a casa di una compaesana, Anna Provenzano, per procurarsi un po' di legna, poiché il marito della donna lavorava come custode di un bosco privato. Quel giorno però anche in casa Provenzano mancava la legna, quindi la donna mandò Arcangela insieme alle sue tre figlie nel bosco privato in contrada “Russo” per procurarsi la legna di cui avevano tutti urgente bisogno. Il marito della signora Provenzano si chiamava Arcangelo ma, a dispetto del suo nome, era stato soprannominato “Lucifero” dai compaesani. Suo figlio Antonio, invece, era soprannominato "Facione", in entrambi i casi, i soprannomi stavano ad indicare che entrambi non erano degli stinchi di santo e che era meglio starne alla larga.
 
Dopo la Messa, Arcangela si avviò nel bosco insieme alle tre amiche. Sgattaiolarono via veloci per non rischiare di essere coinvolte nei festeggiamenti per il Carnevale, che all'epoca erano ritenuti occasione di peccato e roba per soli uomini. Antonio, però, lasciò perdere il Carnevale e, vedendo Arcangela, seguì le ragazze nel bosco con la scusa di volerle aiutare.
Il ragazzo aiutò prima le sorelle a legare le fascine di legna e, dopo aver sistemato il carico sulle loro teste, le invitò a rientrare in paese mentre lui sarebbe rimasto ad aiutare Arcangela. Era chiaro che il giovane cercava una scusa per restare solo con la ragazza, ma le sue sorelle non vollero lasciare l'amica e allora Antonio sistemò l'ultimo carico e, probabilmente, legò in malo modo la fascina, perché, fatti pochi metri, il carico di Arcangela si sciolse e la legna finì a terra.
 
Antonio allora spronò le sorelle ad avviarsi verso il paese perché si stava facendo buio e restò con l'ignara Arcangela per aiutarla a raccogliere nuovamente la legna caduta.
 
Fu allora che Antonio iniziò ad insidiare la povera ragazza, la quale, impaurita, iniziò a correre e ad urlare per il bosco mentre il giovinastro, sempre più intestardito nelle sue cattive intenzioni, la inseguiva. La giovane, in preda al panico, raggiunse un'altura dove si ergeva un albero di castagno e, non sapendo più dove fuggire né dove nascondersi, si aggrappò con la forza della disperazione all'albero. Il malintenzionato la raggiunse, insistendo nelle sue richieste oscene ma ottenne solo rifiuti decisi da parte della ragazza.
 
«La Madonna non vuole queste cose!» e «Morta sì, ma non mi farò mai toccare da te!» sono le parole che i testimoni dissero di aver sentito pronunciare da Arcangela.
 
Infuriato per l'essere stato rifiutato, Antonio estrasse la scure che portava con sé e cominciò a inveire sulla povera ragazza, colpendola a morte e mutilandole le mani, le orecchie e i piedi, infierendo poi  sul resto del corpo con oltre quaranta colpi.
Sia le sorelle Provenzano che alcuni contadini che si trovavano in zona, sentirono le urla della sfortunata ragazza ma, a causa del buio, della nebbia e della paura, nessuno si avvicinò per tentare di aiutarla. E, cosa ancora più grave, nessuno pensò di correre in paese a chiedere aiuto.
 
Fattasi sera, i genitori di Arcangela, non vedendo rientrare la loro figlia, iniziarono a preoccuparsi e così partirono le ricerche della ragazza. Antonio, nel tentativo di mascherare il delitto, si mise addirittura a capo di uno dei gruppi di volontari e quando gli uomini si avvicinarono troppo al luogo dove giaceva il corpo della povera Arcangela, smorzò il lucignolo della lanterna per impedire agli altri di vedere. 
Ci volle il sole dell'indomani perché il bracciante Pasquale Cavaliere, potesse ritrovare il cadavere e avvertire le autorità e la famiglia della sfortunata ragazza. I sospetti caddero subito su Antonio, il quale aveva cercato di crearsi un alibi recandosi al lavoro come se nulla fosse stato. Le sue sorelle, dapprima terrorizzate per quanto accaduto all'amica, trovarono poi il coraggio di denunciare il fratello che venne prelevato dal posto di lavoro e arrestato.
Tutta la popolazione di Longobardi e molti abitanti dei paesi limitrofi parteciparono al funerale di Arcangela, che fu seppellita nel cimitero cittadino.
Antonio venne processato davanti alla Corte d’Assise di Cosenza e il 17 maggio 1869 venne condannato a morte. La pena però non fu eseguita perché lui morì di cancrena il 5 agosto 1872, presso il carcere di Cosenza.
Quasi da subito la gente prese a visitare la tomba di Arcangela, la sfortunata ragazza che nessuno aveva saputo aiutare e che si era opposta alla violenza fino a morirne. Si creò una sorta di pellegrinaggio per cui, don Domenico Cananzi, a nome dei fedeli della sua comunità, ottenne il permesso dal Vescovo di Tropea di traslare il corpo della giovane martire nella chiesa di San Francesco di Paola a Longobardi.
 
 Il 22 settembre del 1973, sul luogo del martirio, fu eretta una croce, benedetta dall’allora Arcivescovo di Cosenza, monsignor Enea Selis.
Il parroco della chiesa di San Francesco, don Francesco Miceli, raccolse numerose testimonianze  per chiedere l’apertura di un processo canonico, poiché la storia di Arcangela era del tutto simile a quella della più conosciuta Maria Goretti, per cui la giovane calabrese ancora oggi è detta: "la Maria Goretti del sud". Il lavoro svolto da don Miceli non poté  essere completato  a causa della morte dell'anziano prelato e perché, nel frattempo, Longobardi era stata annessa alla Diocesi di Cosenza. Il suo lavoro però non andò perduto e monsignor Salvatore Nunnari, attuale Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, costituì la Postulazione per la causa di beatificazione e canonizzazione di Arcangela. Il 7 febbraio 2007 la Conferenza Episcopale Calabra espresse il suo parere favorevole e il 23 di maggio giunse il nulla osta da parte della Santa Sede.  L’inchiesta diocesana sul martirio di Arcangela Filippelli si è conclusa il 29 maggio 2013. Adesso Arcangela è Serva di Dio e col suo gesto di preservare la purezza, anche a costo della propria vita, simboleggia un candido fiore nel giardino della Chiesa.


A lei è stato dedicato il film "Arcangela Filippelli. Martire della purezza", presentato nel corso della 9° edizione del "Mendicino Corto" festival internazionale del Cinema.
Il film è stato girato in Calabria, con attori calabresi non professionisti, affiancati dalla presenza nel cast del famoso duo calabrese Battaglia e Misefari, ed è stato prodotto dal "Centro Studi Salvini" e dal settimanale d'informazione dell'Arcidiocesi Cosenza-Bisignano "Parola di Vita".

Il trailer del film su YouTube.

 


 


mercoledì 7 gennaio 2015

Il terremoto di REGGIO e MESSINA (1908)



La sera del 28 dicembre alle ore 22:43, una scossa di terremoto, che ha avuto il suo epicentro in Sila, ha fatto sobbalzare la Calabria. La magnitudo è stata di 4.4 secondo la scala Richter, un terremoto abbastanza forte, sicuramente il più forte che la mia memoria ricordi, poiché quello terribile del 1980 che distrusse l’Irpinia e che fu avvertito in modo chiaro fino in Calabria, io non lo ricordo, ero troppo piccola allora.

Stavolta, grazie a Dio, non è successo niente, nessun ferito, e questo è l’importante. Si rimettono a letto i figli, raccomandando loro che, se dovesse arrivare una nuova scossa, vadano a infilarsi immediatamente sotto la scrivania e poi si spera che di scosse non ce ne siano più.

 In realtà di scosse il sismografo ne ha registrato altre tre, ma, per fortuna, si trattava di scosse di assestamento, impercettibili alla popolazione.

Quando (troppo spesso) la mia regione sobbalza, mi torna alla mente il disastroso terremoto che nel 1908 distrusse Reggio e Messina. Sarà stata una semplice combinazione ma la data degli eventi è la stessa: 28 dicembre 2014 il più recente, 28 dicembre 1908 quello passato alla storia come il più terribile disastro naturale della storia d’Italia. Con questa storia voglio iniziare l’altra sezione di questo blog, quella dedicata agli eventi storici accaduti in Calabria.

«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata un’impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri". Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave. »

 Questo venne annotato nell’osservatorio Ximeniano di Firenze. A quel tempo esistevano già i sismografi ma erano apparecchiature ancora rudimentali rispetto a oggi, segnalavano la presenza di un evento sismico ma non erano ancora in grado di stabilire con precisione il luogo dove l’evento si era verificato. La notte di quel 28 dicembre di 106 anni fa, si sapeva solo che un grande terremoto si era verificato, probabilmente, da qualche parte in Italia.

Questo terremoto, nel tempo, prese diversi nomi: Terremoto di Messina, Terremoto di Messina e Reggio e terremoto calabro-siculo ma in Calabria è conosciuto come il “Terremoto di Reggio e Messina” ed è così che lo definiremo in questo post.

Era da poco passato il Natale quando, quella mattina di lunedì 28 dicembre alle ore 5:21 un terribile terremoto che ebbe come epicentro lo stretto di Messina, sconquassò con la violenza della sua magnitudo 7.2 scala Richter (XI scala Mercalli) le città di Reggio e Messina distruggendole quasi completamente.

In 37 lunghi secondi di terrore scomparve buona parte della popolazione delle due città. Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000, mentre a Reggio i morti furono circa 15.000 su una popolazione di 45.000. Una terribile tragedia che vide scomparire in pochi secondi interi nuclei familiari.

Già in passato la Calabria e lo Stretto di Messina erano state più volte colpite da grandi terremoti che avevano raso al suolo i centri abitati, ma quello del 1908 fu forse il più violento sia per i danni causati (il 90% delle abitazioni di Messina crollarono) sia per l’elevato numero di morti (circa 95.000, un numero davvero drammatico e impressionante). Quella notte, poi, avvenne una tragedia nella tragedia, poiché furono molti quelli che, scampati al terremoto, impauriti, feriti e al buio, si riversarono in massa sulle spiagge cercando una via di scampo e non potendo immaginare che quell’idea li avrebbe condotti alla morte. Dopo circa dieci minuti dal terremoto, infatti, le acque dello Stretto si ritirarono e un violento maremoto, oggi più noto come  Tsunami, si abbatté sulle coste calabro-sicule, con almeno tre grandi ondate di oltre 10 metri (13 mt a Pellaro) che travolsero con sé tutto ciò che trovarono, compresi i terremotati che si erano riversati sulle spiagge.

All’alba i danni della furia della natura si rivelarono nella loro drammatica tragicità. Tutte le vie di comunicazione, strade, ferrovie, telegrafo, erano interrotte, tubazioni del gas e cavi elettrici distrutte, illuminazione stradale mancante fino a Palmi. L’area dello Stretto era, quindi, completamente isolata dal resto del mondo. E così restò per almeno 24 ore.

I superstiti di entrambe le regioni, infatti, vennero soccorsi solo il giorno dopo, martedì 29 dicembre, quando si cominciò a realizzare quale disastro fosse accaduto in quella zona. I primi a raggiungere le coste disastrate dal terremoto furono i russi e gli inglesi provenienti da alcune navi militari che si trovavano in zona.  Tra i soccorritori si distinsero in particolare proprio i russi, ai quali la città di Messina, nel 2006, ha dedicato una strada cittadina in segno di riconoscimento.

Le prime navi italiane arrivarono solo dopo che il Governo apprese la drammatica notizia, nella tarda mattinata del 29.

Da terra, invece, la prima squadra di soccorso che raggiunse Reggio fu di volontari partiti da Cosenza, guidati dall’esponente socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo, futuro Ministro della Sanità e dei Lavori pubblici).  Ricordiamo, inoltre, tra i primi soccorritori: il generale Mazzitelli con un centinaio di soldati, i dottori Annetta e Bellizzi provenienti da Lazzaro, l’avvocato Berardelli di Cosenza e 150 uomini che provenivano da Cirò. I volontari che avevano portato con sé un po’ di cibo, furono assaliti dalla folla di superstiti affamati, che strappò letteralmente loro il pane dalle mani. Anche i volontari, quindi, digiunarono fino a che non arrivarono gli aiuti inviati dal Governo.

La descrizione che Mancini fa di Reggio può rendere l’idea di come apparve la città agli occhi dei primi soccorritori.

 "Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu." 

 Mentre la città di Messina fu quasi completamente rasa al suolo con la scomparsa di più della metà della sua popolazione, Reggio subì meno danni ma non meno dolore. Tra le numerose vittime ricordiamo le 600 del 22° fanteria nella caserma Mezzacapo e quelle dell’ospedale civile, dove si salvarono solo 29 pazienti su un totale di 230 ricoverati. Solo queste cifre ci danno l’idea di ciò che fu. Danni si registrarono anche nella provincia reggina, dove a Palmi crollò la chiesa di san Rocco e il Duomo.  Il sisma raggiunse anche Tiriolo, nel catanzarese, dove molti edifici crollarono e si registrarono alcuni morti.

Tra le tantissime vittime della costa siciliana voglio ricordare l’immensa tragedia che colpì Gaetano Salvemini, allora docente presso l’università di MESSINA, che perse tutta la famiglia (moglie e figli) sotto le macerie, restando l’unico sopravvissuto.

Le scosse di assestamento furono numerosissime e si ripeterono fino al marzo 1909


In occasione di questo terribile terremoto, in Italia si verificò, per la prima volta, assistenza ai terremotati sia da parte dello Stato che per l’opera di numerosi soccorritori italiani e stranieri, civili e militari (tra questi: marinai, carabinieri e bersaglieri che provvidero anche ad operazioni di pubblica sicurezza contro gli atti di sciacallaggio). Le navi da guerra si trasformarono ben presto in ospedali galleggianti. Il re e la regina d’Italia, insieme al ministro per i lavori pubblici raggiunsero Messina il 30. La regina si occupò dei feriti che venivano trasportati sulle navi, mentre il re, dopo un vivace battibecco col sindaco di Messina, che accusò il Governo di essere intervenuto con ritardo, destituì il sindaco e proclamò lo Stato d’Assedio per le zone terremotate.

Oltre al sindaco, a scagliarsi contro il Governo Italiano, fu, nei giorni seguenti, soprattutto la stampa. In principio, quando ancora non si conosceva la gravità dell’evento, i giornali parlarono di alcuni morti per un terremoto in Calabria, poi col sopraggiungere di nuove notizie, la gravità della situazione si cominciò a delineare.

"ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d'Italia distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e Messina". Titolò il Corriere della Sera del 30 dicembre.

Le polemiche post-terremoto, si fondavano soprattutto sul ritardo con cui il Governo aveva inviato gli aiuti alla popolazione terremotata. In seguito la polemica montò per via dei provvedimenti finanziari adottati e in particolare per l’aumento delle tasse. I giornali accusarono il Governo di aver speso molto denaro proveniente dai fondi raccolti in occasione dei terremoti precedenti senza che le popolazioni terremotate ne traessero i dovuti benefici. Anche la Marina italiana venne pesantemente criticata, perché giudicata impreparata ad affrontare tali eventi rispetto alla capacità dimostrata dalle squadre navali straniere.

C’è da dire però che in occasione di tale terremoto, iniziò anche una straordinaria gara di solidarietà che vide Capi di Stato di varie Nazioni inviare soccorritori e, in alcuni casi, anche aiuti finanziari. In Italia la Croce Rossa e l’Ordine dei cavalieri di Malta organizzarono i soccorsi e si formarono, un po’ in tutta la Penisola, dei comitati per la raccolta di denaro, cibo e vestiario.

La stima ufficiale parla di circa 17.000 persone ritrovate vive sotto le macerie e salvate dai soccorritori italiani e stranieri. Mentre l’Esercito e la Marina, persero circa 1.000 uomini, alcuni dei quali durante le operazioni di soccorso.

Cominciò quindi il lento processo per la ricostruzione. Reggio Calabria fu ricostruita nel primo ventennio del XX secolo. Nel 1911 l'ingegnere reggino Pietro De Nava, assessore ai lavori pubblici, progettò il nuovo piano regolatore (detto "piano De Nava") che prevedeva costruzioni antisismiche e in stile liberty. Reggio risorse dalle macerie, diventando nel corso del secolo la città più popolosa della Calabria, grazie anche ad una forte emigrazione interna, con i residenti della provincia che si riversarono in città. E' oggi una delle città metropolitane d'Italia.
 
Per Messina, invece, si era pensato di demolire completamente il poco che era rimasto ancora in piedi e di ricostruire la città altrove, ma, com’era prevedibile, la popolazione si ribellò a quest’idea. La città venne ricostruita lì dove sorgeva ma, stavolta con nuovi criteri più moderni e, soprattutto, con metodologie antisismiche.
Subito dopo il sisma sorsero le prime tendopoli che furono poi sostituite dalle baraccopoli che, come accade in questi casi, dovrebbero essere sistemazioni momentanee ma che restarono, invece, in gran parte abitate per decenni prima che la ricostruzione fosse completata. La cosa incredibile è che alcune di quelle baracche ci sono ancora e sono ancora occupate. Secondo alcuni, gli occupanti sono gli eredi dei sopravvissuti che continuano ad aspettare, dopo 106 anni, una casa vera e propria. Secondo altri, gli occupanti odierni sono degli abusivi che hanno occupato le baracche quando i terremotati le hanno lasciate. Io non so quale sia la realtà delle cose, l'unica cosa certa è che una baraccopoli non è il luogo adatto all'esistenza di un essere umano.

 

Reggio Calabria dopo il terremoto


Messina distrutta dopo il terremoto


Alcuni superstiti a Reggio Calabria, sullo sfondo le rovine della città.
 

I danni subiti in città.


Palmi (RC) distrutta dopo il terremoto



La baraccopoli di Reggio

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