La sera del 28 dicembre alle ore 22:43, una scossa di
terremoto, che ha avuto il suo epicentro in Sila, ha fatto sobbalzare la Calabria. La
magnitudo è stata di 4.4 secondo la scala Richter, un terremoto abbastanza
forte, sicuramente il più forte che la mia memoria ricordi, poiché quello
terribile del 1980 che distrusse l’Irpinia e che fu avvertito in modo chiaro
fino in Calabria, io non lo ricordo, ero troppo piccola allora.
Stavolta, grazie a Dio, non è successo niente, nessun
ferito, e questo è l’importante. Si rimettono a letto i figli, raccomandando
loro che, se dovesse arrivare una nuova scossa, vadano a infilarsi
immediatamente sotto la scrivania e poi si spera che di scosse non ce ne siano
più.
In realtà di scosse
il sismografo ne ha registrato altre tre, ma, per fortuna, si trattava di
scosse di assestamento, impercettibili alla popolazione.
Quando (troppo spesso) la mia regione sobbalza, mi torna
alla mente il disastroso terremoto che nel 1908 distrusse Reggio e Messina.
Sarà stata una semplice combinazione ma la data degli eventi è la stessa: 28
dicembre 2014 il più recente, 28 dicembre 1908 quello passato alla storia come
il più terribile disastro naturale della storia d’Italia. Con questa storia
voglio iniziare l’altra sezione di questo blog, quella dedicata agli eventi
storici accaduti in Calabria.
«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è
incominciata un’impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei
tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano
oltre 40 centimetri".
Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave. »
Questo venne
annotato nell’osservatorio Ximeniano di Firenze. A quel tempo esistevano già i
sismografi ma erano apparecchiature ancora rudimentali rispetto a oggi,
segnalavano la presenza di un evento sismico ma non erano ancora in grado di
stabilire con precisione il luogo dove l’evento si era verificato. La notte di
quel 28 dicembre di 106 anni fa, si sapeva solo che un grande terremoto si era
verificato, probabilmente, da qualche parte in Italia.
Questo terremoto, nel tempo, prese diversi nomi:
Terremoto di Messina, Terremoto di Messina e Reggio e terremoto calabro-siculo
ma in Calabria è conosciuto come il “Terremoto di Reggio e Messina” ed è così
che lo definiremo in questo post.
Era da poco passato il Natale quando, quella mattina
di lunedì 28 dicembre alle ore 5:21 un terribile terremoto che ebbe come
epicentro lo stretto di Messina, sconquassò con la violenza della sua magnitudo 7.2 scala Richter (XI scala
Mercalli) le città di Reggio e Messina distruggendole quasi completamente.
In 37 lunghi secondi di terrore scomparve buona parte
della popolazione delle due città. Messina, che all’epoca contava circa 140.000
abitanti, ne perse circa 80.000, mentre a Reggio i morti furono circa 15.000 su
una popolazione di 45.000. Una terribile tragedia che vide scomparire in pochi
secondi interi nuclei familiari.
Già in passato la Calabria e lo Stretto di Messina erano state più
volte colpite da grandi terremoti che avevano raso al suolo i centri abitati, ma
quello del 1908 fu forse il più violento sia per i danni causati (il 90% delle
abitazioni di Messina crollarono) sia per l’elevato numero di morti (circa
95.000, un numero davvero drammatico e impressionante). Quella notte, poi,
avvenne una tragedia nella tragedia, poiché furono molti quelli che, scampati
al terremoto, impauriti, feriti e al buio, si riversarono in massa sulle
spiagge cercando una via di scampo e non potendo immaginare che quell’idea li
avrebbe condotti alla morte. Dopo circa dieci minuti dal terremoto, infatti, le
acque dello Stretto si ritirarono e un violento maremoto, oggi più noto come Tsunami,
si abbatté sulle coste calabro-sicule, con almeno tre grandi ondate di oltre 10 metri (13 mt a Pellaro)
che travolsero con sé tutto ciò che
trovarono, compresi i terremotati che si erano riversati sulle spiagge.
All’alba i danni della furia della natura si
rivelarono nella loro drammatica tragicità. Tutte le vie di comunicazione,
strade, ferrovie, telegrafo, erano interrotte, tubazioni del gas e cavi
elettrici distrutte, illuminazione stradale mancante fino a Palmi. L’area dello
Stretto era, quindi, completamente isolata dal resto del mondo. E così restò
per almeno 24 ore.
I superstiti di entrambe le regioni, infatti, vennero
soccorsi solo il giorno dopo, martedì 29 dicembre, quando si cominciò a
realizzare quale disastro fosse accaduto in quella zona. I primi a raggiungere
le coste disastrate dal terremoto furono i russi e gli inglesi provenienti da
alcune navi militari che si trovavano in zona.
Tra i soccorritori si distinsero in particolare proprio i russi, ai
quali la città di Messina, nel 2006,
ha dedicato una strada cittadina in segno di
riconoscimento.
Le prime navi italiane arrivarono solo dopo che il
Governo apprese la drammatica notizia, nella tarda mattinata del 29.
Da terra, invece, la prima squadra di soccorso che
raggiunse Reggio fu di volontari partiti da Cosenza, guidati dall’esponente
socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo, futuro Ministro della Sanità e dei
Lavori pubblici). Ricordiamo, inoltre,
tra i primi soccorritori: il generale Mazzitelli con un centinaio di soldati, i
dottori Annetta e Bellizzi provenienti da Lazzaro, l’avvocato Berardelli di
Cosenza e 150 uomini che provenivano da Cirò. I volontari che avevano portato
con sé un po’ di cibo, furono assaliti dalla folla di superstiti affamati, che
strappò letteralmente loro il pane dalle mani. Anche i volontari, quindi,
digiunarono fino a che non arrivarono gli aiuti inviati dal Governo.
La descrizione che Mancini fa di Reggio può rendere
l’idea di come apparve la città agli occhi dei primi soccorritori.
"Le
descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero.
Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto.
Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante.
Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei
cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea
approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu."
Mentre la città di
Messina fu quasi completamente rasa al suolo con la scomparsa di più della metà
della sua popolazione, Reggio subì meno danni ma non meno dolore. Tra le
numerose vittime ricordiamo le 600 del 22° fanteria nella caserma Mezzacapo e
quelle dell’ospedale civile, dove si salvarono solo 29 pazienti su un totale di
230 ricoverati. Solo queste cifre ci danno l’idea di ciò che fu. Danni si
registrarono anche nella provincia reggina, dove a Palmi crollò la chiesa di
san Rocco e il Duomo. Il sisma raggiunse
anche Tiriolo, nel catanzarese, dove molti edifici crollarono e si registrarono
alcuni morti.
Tra le tantissime vittime della costa siciliana voglio
ricordare l’immensa tragedia che colpì Gaetano Salvemini, allora docente presso
l’università di MESSINA, che perse tutta la famiglia (moglie e figli) sotto le
macerie, restando l’unico sopravvissuto.
Le scosse di assestamento furono numerosissime e si
ripeterono fino al marzo 1909
In occasione di questo terribile terremoto, in Italia
si verificò, per la prima volta, assistenza ai terremotati sia da parte dello
Stato che per l’opera di numerosi soccorritori italiani e stranieri, civili e
militari (tra questi: marinai, carabinieri e bersaglieri che provvidero anche
ad operazioni di pubblica sicurezza contro gli atti di sciacallaggio). Le navi
da guerra si trasformarono ben presto in ospedali galleggianti. Il re e la
regina d’Italia, insieme al ministro per i lavori pubblici raggiunsero Messina
il 30. La regina si occupò dei feriti che venivano trasportati sulle navi,
mentre il re, dopo un vivace battibecco col sindaco di Messina, che accusò il
Governo di essere intervenuto con ritardo, destituì il sindaco e proclamò lo
Stato d’Assedio per le zone terremotate.
Oltre al sindaco, a scagliarsi contro il Governo
Italiano, fu, nei giorni seguenti, soprattutto la stampa. In principio, quando
ancora non si conosceva la gravità dell’evento, i giornali parlarono di alcuni
morti per un terremoto in Calabria, poi col sopraggiungere di nuove notizie, la
gravità della situazione si cominciò a delineare.
"ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d'Italia
distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e
Messina". Titolò il Corriere della Sera del 30 dicembre.
Le polemiche post-terremoto, si fondavano soprattutto
sul ritardo con cui il Governo aveva inviato gli aiuti alla popolazione
terremotata. In seguito la polemica montò per via dei provvedimenti finanziari
adottati e in particolare per l’aumento delle tasse. I giornali accusarono
il Governo di aver speso molto denaro proveniente dai fondi raccolti in occasione
dei terremoti precedenti senza che le popolazioni terremotate ne traessero i
dovuti benefici. Anche la Marina italiana venne pesantemente criticata, perché
giudicata impreparata ad affrontare tali eventi rispetto alla capacità
dimostrata dalle squadre navali straniere.
C’è da dire però che in occasione di tale terremoto,
iniziò anche una straordinaria gara di solidarietà che vide Capi di Stato di
varie Nazioni inviare soccorritori e, in alcuni casi, anche aiuti finanziari.
In Italia la Croce Rossa e l’Ordine dei cavalieri di Malta organizzarono i
soccorsi e si formarono, un po’ in tutta la Penisola, dei comitati per la raccolta
di denaro, cibo e vestiario.
La stima ufficiale parla di circa 17.000 persone
ritrovate vive sotto le macerie e salvate dai soccorritori italiani e
stranieri. Mentre l’Esercito e la Marina, persero circa 1.000 uomini, alcuni
dei quali durante le operazioni di soccorso.
Cominciò quindi il lento processo per la
ricostruzione. Reggio Calabria fu ricostruita nel primo ventennio del XX secolo. Nel 1911 l'ingegnere reggino Pietro De Nava, assessore ai lavori pubblici, progettò il nuovo piano regolatore (detto "piano De Nava") che prevedeva costruzioni antisismiche e in stile liberty. Reggio risorse dalle macerie, diventando nel corso del secolo la città più popolosa della Calabria, grazie anche ad una forte emigrazione interna, con i residenti della provincia che si riversarono in città. E' oggi una delle città metropolitane d'Italia.
Per Messina, invece, si era pensato di demolire completamente il poco che era rimasto
ancora in piedi e di ricostruire la città altrove, ma, com’era prevedibile, la
popolazione si ribellò a quest’idea. La città venne ricostruita lì dove sorgeva
ma, stavolta con nuovi criteri più moderni e, soprattutto, con metodologie
antisismiche.
Subito dopo il sisma sorsero le prime tendopoli che furono poi sostituite
dalle baraccopoli che, come accade in questi casi, dovrebbero essere
sistemazioni momentanee ma che restarono, invece, in gran parte abitate per
decenni prima che la ricostruzione fosse completata.
La cosa incredibile è
che alcune di quelle baracche ci sono ancora e sono ancora occupate. Secondo alcuni, gli occupanti sono gli eredi
dei sopravvissuti che continuano ad aspettare, dopo 106 anni, una casa vera e
propria. Secondo altri, gli occupanti odierni sono degli abusivi che hanno occupato le baracche quando i terremotati le hanno lasciate. Io non so quale sia la realtà delle cose, l'unica cosa certa è che una baraccopoli non è il luogo adatto all'esistenza di un essere umano.
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