"La vita o si vive o si scrive" (L. Pirandello)

mercoledì 10 settembre 2014

GIUDITTA LEVATO

" IO SONO MORTA PER LORO, SONO MORTA PER TUTTI"
 Voglio iniziare questo mio nuovo blog raccontandovi la storia di una donna che ammiro molto. Una donna forte e coraggiosa. Una donna calabrese.
Si chiamava Giuditta Levato ed era una contadina della Calabria del dopoguerra, una Calabria povera e affamata, di una fame atavica, forse più antica del mondo. Giuditta era nata il 18 agosto 1915 a Calabricata di Albi (oggi comune di Sellia marina) nella provincia catanzarese. Era la figlia di Rosa e Salvatore Levato e aveva sposato Pietro Scumaci. Dal loro matrimonio erano nati due figli maschi: Carmine e Salvatore. La coppia stava aspettando il terzo figlio quando il tragico destino sconvolse per sempre la loro vita.
 Giuditta Levato e i suoi figli. (fonte: web)
La Calabria di allora era una terra divisa tra pochi  ricchi latifondisti e numerosi  poveri proletari. I proprietari avevano tanto di quel terreno da non riuscire neppure a gestirlo, per cui, buona parte di esso restava incolto e in stato di abbandono. Contadini e braccianti lavoravano sui terreni dei padroni ma spesso restavano senza pane per sfamare se stessi e i loro figli. La guerra aveva contribuito ancor di più ad impoverire chi era già povero, per cui, negli anni '50, riprese l'emigrazione verso le Americhe. Chi restò, dovette fare i conti con la fame e con le ingiustizie. Giuditta aveva 31 anni, quando qualcuno, in paese, cominciò a parlare di speranza e di un futuro migliore.
Nel 1944, il decreto dell'allora ministro dell'Agricoltura, il calabrese Fausto Gullo, voleva porre fine al latifondo e garantire il diritto alla terra a tutti i cittadini, tramite l'assegnazione dei terreni incolti ai contadini che ne avessero fatto richiesta. Ma la nuova Legge non ebbe l'effetto sperato in Calabria, dove i proprietari terrieri si ostinarono a rifiutare il cambiamento in corso, continuando a spadroneggiare come se nulla fosse e impedendo, di fatto, l'applicazione della Legge stessa. Tra il '44 e il '49 in Calabria iniziarono, quindi, le famose Lotte Contadine, con le occupazioni dei terreni incolti che sulla carta erano stati assegnati ai lavoratori. La lotta cominciò il 17 ottobre del '44 nel crotonese per proseguire poi nelle province di Catanzaro e Cosenza. Il 17 settembre del '46 i comuni coinvolti erano 96 con circa 50.000 contadini in lotta. In quegli anni la terra di Calabria  fu impregnata dell'acre odore del sangue umano. Il sangue dei martiri di Melissa, di quelli di Petilia Policastro e il sangue di Giuditta Levato.
Giuditta e suo marito Pietro aderirono al Partito Comunista Italiano e alle lotte per il Movimento contadino dell'occupazione delle terre e la giovane donna, di carattere combattente, fu sempre in prima linea per difendere il suo diritto di donna e madre che lottava per garantire un futuro migliore ai propri figli.
La Commissione provinciale per le terre incolte assegnò un fondo alla cooperativa di Calabricata. Quel fondo era appartenuto all'agrario Pietro Mazza che, come tutti gli agrari dell'epoca, mal gradì l'esproprio di quello che considerava ancora un suo terreno. Il 28 novembre 1946, Giuditta venne a sapere che il Mazza si trovava nel fondo con i suoi animali al pascolo. La donna non si perse d'animo e, nonostante fosse incinta di sette mesi, si recò nel fondo seguita da alcuni compaesani, per difendere quel terreno che gli stessi contadini avevano da poco seminato. Ne seguì un diverbio col Mazza, il quale non voleva assolutamente cedere il suo diritto di proprietà del terreno. Durante le fasi più concitate del diverbio, d'improvviso, dal fucile di Vincenzo Napoli, guardia-caccia del Mazza, partì un colpo che prese in pieno la povera Giuditta. La donna venne subito soccorsa dai compaesani e trasportata a casa sua, poi, vedendo che le sue condizioni erano gravi, venne portata a Catanzaro. Giuditta morì dopo qualche giorno di agonia insieme al bambino che portava in grembo. Prima di morire riuscì a lasciare il suo testamento spirituale al senatore Pasquale Poerio che si era precipitato al suo capezzale.
"...Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea, ho dato me stessa, la mia giovinezza, la mia felicità di sposa e mamma... Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che sono partita per un lungo viaggio ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano per me, più di me..."
Ai funerali di Giuditta parteciparono moltissime persone e furono molte le bandiere rosse che sventolarono nella piazza gremita, la donna venne seppellita a Catanzaro.

Nel 2004 la Regione Calabria le ha intitolato l'ex sala Consiliare con la seguente motivazione:
"In omaggio ad una donna che è stata protagonista del suo tempo ma, soprattutto,  in omaggio a tutte le donne calabresi abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio. In omaggio a tutte le donne che, pur non avendo molta visibilità perché occupate nel loro lavoro quotidiano, sono uno dei pilastri fondamentali della nostra società e che, al momento giusto, com'è accaduto appunto alla contadina di Calabricata, sanno sfoderare grinta e determinazione e diventare protagoniste del loro destino" .
 

4 commenti:

  1. Brava, Angie! Un racconto molto importante per la nostra Calabria. xoxo Concetta (Calabrese di cuore)

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    1. Grazie, sono contenta che ti sia piaciuto. Un bacio a te e a tutte le calabresi nel mondo!

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  2. Ciao!:-) complimenti x il nuovo blog finalmente qualcosa di diverso,che tratti di cultura,la nostra cultura e non le solite inutili accozzaglie di parole che si leggono e rileggono in rete. E poi inutile dire che quando scrivi tu dal primo rigo ti ritrovi all'ultimo dopo aver divorato l'intero testo. Aspetto con ansia la prossima pubblicazione. Un bacio ai piccoli...Anita.

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    1. Ti ho già ringraziato in privato ma volevo farlo anche qui. I tuoi complimenti mi hanno fatto veramente piacere. Grazie di cuore!^_^

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